mercoledì 13 maggio 2015

Il tronco di Davide (The Branch, 1984), di Mike Resnick

Michael Diamond Resnick (Chicago, 5 marzo 1942) è uno scrittore amatissimo dal pubblico d’oltreoceano, abbastanza tradotto anche qui in Italia. Autore piuttosto prolifico, attivo dall’inizio degli anni sessanta, ha prodotto oltre cinquanta romanzi di fantascienza, oltre a numerosissimi racconti, un corpo notevole di racconti per adulti, scritti sotto pseudonimo soprattutto nella prima parte della sua carriera.Da notare che detiene il record assoluto di nomination al premio Hugo, trentasei, con ben cinque vittorie (e qui ricordo che l’Hugo è un premio assegnato da giuria popolare). Essendo vincitore di altri numerosi premi, è tra gli scrittori di fantascienza che più ne hanno raccolti. I suoi tratti caratteristici più noti sono l'amore per l’Africa e la sua conoscenza profonda di questo continente, da cui ha tratto personaggi, spunti e ambientazioni, e l’umorismo che pervade la maggior parte delle sue opere.

Il tronco di Davide è un romanzo che ha però altri punti di riferimento. Non che manchi di umorismo, ma in questo caso è meno diretto del solito, affidato soprattutto a una certa leggerezza (che non significa mancanza di profondità) nell’approccio a temi piuttosto importanti. Per intenderci, è un Romanzo che parla di potere, della dicotomia ragione-istinto affrontata come rapporto dell’uomo con la religione.

Il libro, che si apre con un breve prologo in cui viene descritta la situazione storica in cui si svolge la vicenda, narra l’intreccio tra la storia di Solomon Moody Moore, capo assoluto di una potente organizzazione criminale di stampo mafioso, e Jeremiah B. piccolo criminale la cui unica abilità pare quella di truffare il prossimo.

I due caratteri non possono essere più diversi tra loro. Moore è un uomo d’affari sobrio, razionale e intelligente, il cui unico vizio è l’esercizio del potere fine a se stesso. Jeremiah B. non possiede grandi doti intellettive, ed è un edonista, incapace di vedere a un palmo dal naso, che vive alla giornata. Ma Jeremiah B. è anche qualcos’altro. Qualcosa che lui stesso ignora di essere.

I due s’incontrano per la prima volta in un luna park ambulante; Solomon è lì per imporre il pagamento del pizzo ai proprietari. Jeremiah approfitta dell’occasione per mendicare qualche soldo (come vedete la motivazione di fondo dei due è la stessa, lo stile completamente diverso).

Il loro primo incontro è tutt’altro che morbido. Jeremiah chiede l’elemosina fingendosi cieco e Solomon Moore lo mette duramente alla prova per assicurarsi che veramente lo sia. Il boss ne esce ingannato e il mendicante pesto ma vincitore. Questa situazione pare ripetersi ogni volta che i due hanno a che fare l’uno con l’altro. Ma mentre la storia procede, il gioco inizia a cambiare, la posizione dell’ex mendicante si rafforza mentre il boss va perdendo gradualmente la sua influenza, fino a un finale che sorprende, ma che visto a posteriori appare assolutamente corretto.

Ho trascurato, in questa rapida spiegazione, l’elemento religioso, che invece è portante nell’opera; nel corso del romanzo entra in gioco il dio degli ebrei che, pur non comparendo direttamente come personaggio se non alla fine, aleggia sul racconto tramite la presenza del suo messia. È proprio Solomon Moore a contribuire alla manifestazione del messia, fatto che sarà direttamente responsabile della sua rovina negli “affari”, e contro cui Solomon lotterà con tutte le sue forze fino alla fine.

Non aspettatevi però un messia sul genere del Gesù cristiano (che del resto non è mai stato accettato come tale dalla religione ebraica) si tratterà di un messia sorprendente, ma allo stesso tempo, nelle motivazioni addotte da Resnick, perfettamente plausibile, che incarna alla perfezione l’irrazionalità dello spirito religioso contrapponendola alla razionalità di Solomon Moore.

Una delle situazioni che mi colpirono di questo romanzo, alla prima lettura, fu che entrambi i protagonisti siano essenzialmente malvagi ma, nonostante ciò, ricchi di sfaccettature umane in cui è facile riconoscersi. Questa ricchezza dei personaggi, permettendo l’immedesimazione, fa sì che il romanzo non si blocchi a un livello troppo cerebrale ma che si dipani in modo scorrevole. La curiosità verso il carattere dei protagonisti basta a trasportare agevolmente il lettore dalla prima all’ultima pagina.

L’altra, a mio avviso ancor più importante, visto che ha fatto nascere in me una certa pulsione emulativa, è che si tratta di un libro, come ho già detto, piuttosto lieve alla lettura; Resnick ha una tale capacità di veicolare il significato alla storia, che in questo romanzo in particolare (ma anche in altre opere), raramente ha bisogno di considerazioni estemporanee per fornire spiegazioni. La storia è il significato. Il significato è la storia. Esattamente come avviene nelle fiabe o nelle parabole.

Questo modo di intendere la letteratura, che richiama alla fiaba e alla leggenda, è una delle travi portanti di tutta la narrativa di Resnick. È anche il motivo per cui mi sono trovato in difficoltà a scrivere questo breve invito alla lettura: credo parlando troppo esplicitamente dei motivi per cui ritengo questo romanzo un ottimo passatempo intellettuale, avrei finito anche per raccontare alcuni punti essenziali della trama guastandovene la lettura.

Spero comunque di essere riuscito a incuriosirvi a sufficienza da indurvi alla lettura.


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