mercoledì 22 aprile 2015

Il grande mare dei Sargassi (Wide Sargasso Sea, 1966) di Jean Rhys

Una volta tanto, per evitare di diventare troppo monotono, esco dall’ambito della fantascienza per consigliare un romanzo di tutt’altro genere.


Jean Rhys, nata Ella Gwendolen Rees Williams (Roseau, 24 agosto 1890, Exeter, 14 maggio 1979), originaria della Dominica, dove la sua famiglia era proprietaria di una grande tenuta, si trasferì in Inghilterra all’età di sedici anni, iniziando lì la sua professione di scrittrice. A partire dagli anni venti, accompagnata dalla povertà, immersa nella Bohème e fortemente condizionata dall’alcolismo, la scrittrice girovagò per tutta l’Europa, utilizzando come base Parigi, città in cui sostò a più riprese. 

Nonostante il patrocinio dello scrittore ed editore Ford Madox Ford, che sin da principio seppe giustamente riconoscerne il talento, la sua carriera letteraria non riuscì a prendere il volo fino a quando “Il grande mare dei Sargassi” le fece ottenere un notevole successo di critica e pubblico. Dal millenovecentoquaranta le sue pubblicazioni s’interruppero (per riprendere solo nel sessanta) e la Rhys scomparve dalla vita pubblica.


Il grande mare dei Sargassi (Wide Sargasso Sea, 1966), è un romanzo post-moderno che per molti versi si inserisce nella tradizione gotica. È anche, e a ciò è dovuta parte della sua fama presso il grande pubblico, un prequel polemico di Jane Eyre.


La storia, che contiene una forte componente autobiografica, racconta la vita a partire dall’infanzia, di Antoinette Cosway. Figlia di un importante tenutario giamaicano. la donna vive sulla sua pelle la decadenza della classe dominante di origine europea, iniziata bruscamente con l’abbandono delle colonie e l’abolizione della schiavitù. La vita travagliata della ragazza subisce il colpo di grazia quando essa finisce per sposare, in un matrimonio d’interesse (qui semplifico; in realtà la questione è più complessa) uno squattrinato Lord inglese che durante tutto il corso del romanzo viene lasciato, ironicamente, innominato. Solo alla fine, quando la coppia si trasferisce in Inghilterra, diverrà chiaro che il marito della donna è il Rochester di Jane Eyre e lei, la protagonista, la di lui moglie pazza. 

La storia si può dividere chiaramente in tre parti, la prima narrata dalla voce di Antoinette, la seconda da quella del marito innominato, la terza, molto più breve, torna al punto di vista della protagonista.


Si tratta di un romanzo con molti spunti di riflessione importanti, tra i quali segnalo la descrizione del Caribe post-coloniale e post-schiavista (situazione di cui l’autrice, pur essendo nata ben dopo il periodo narrato, conosce le conseguenze per esperienza diretta) che spiega molto bene una situazione storica non molto nota. Importantissimi i temi della dipendenza affettiva nel matrimonio, influenzata dalla debolezza dei diretti interessati, della condizione della donna in una società prevalentemente maschile, della pazzia che viene portata a galla dalle circostanze psico-sociali. Questi argomenti, tra l’altro portanti in tutta la letteratura della Rhys, sono qui trattati con una sottigliezza, un intelligenza e una tale varietà di sfumature, che solo questo basterebbe a caricare il “Il grande mare dei Sargassi” di un importanza notevole per la letteratura del novecento.

Altro elemento importante nel racconto, che aleggia sulla narrazione senza però mai diventare preponderante, è la presenza dell’obeah, una religione di origine africana imparentata al vudù. Riguardo a questa, però, Jean Rhys non si concentra sulla parte magica, bensì ne esalta in modo piuttosto razionale, nella figura di Christophine, l’anziana balia e governante nera di Antoinette, i risvolti culturali e filosofici.

Personalmente ci sono altre due peculiarità di questo romanzo che mi hanno colpito e che mi inducono a consigliarne la lettura:


L’insieme scrittura-struttura, è un meccanismo perfetto in cui nulla sembra fuori posto e in cui ogni singola scena, ogni descrizione, sembra alludere a qualcosa di più profondo e inafferrabile. Allo stesso tempo però, il romanzo si lascia leggere con estrema facilità, e cattura il lettore portandolo alla fine della vicenda senza che senta il bisogno di fermarsi a rifiatare.


Altra cosa che mi ha impressionato è che, nonostante si svolga sotto il sole luminoso dei Caraibi e sia pervaso da una sottile ironia, il romanzo riesca a essere comunque cupamente gotico, e alla fine della lettura, ciò che mi è restato in mente a livello visivo, è una serie di immagini scure e nebbiose. Effetto non facile da ottenere, che dimostra una volta di più la maestria della scrittrice.


Leggetelo quindi, non vi lascerà delusi. E nel caso vogliate regalare un libro, potrete fare felice qualche amico lettore che non abbia mai sentito parlare di questa splendida autrice, con una scelta tutt’altro che banale.



PS … e un "grazie" ad Alice per averlo fatto conoscere a me.

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