Una volta
tanto, per evitare di diventare troppo monotono, esco dall’ambito della
fantascienza per consigliare un romanzo di tutt’altro genere.
Jean Rhys,
nata Ella Gwendolen Rees Williams (Roseau, 24 agosto 1890, Exeter, 14 maggio
1979), originaria della Dominica, dove la sua famiglia era proprietaria di una
grande tenuta, si trasferì in Inghilterra all’età di sedici anni, iniziando lì
la sua professione di scrittrice. A partire dagli anni venti, accompagnata
dalla povertà, immersa nella Bohème e fortemente condizionata dall’alcolismo,
la scrittrice girovagò per tutta l’Europa, utilizzando come base Parigi, città
in cui sostò a più riprese.
Nonostante il patrocinio dello scrittore ed editore
Ford Madox Ford, che sin da principio seppe giustamente riconoscerne il
talento, la sua carriera letteraria non riuscì a prendere il volo fino a quando
“Il grande mare dei Sargassi” le fece ottenere un notevole successo di critica
e pubblico. Dal millenovecentoquaranta le sue pubblicazioni s’interruppero (per
riprendere solo nel sessanta) e la Rhys scomparve dalla vita pubblica.
Il grande mare dei Sargassi (Wide Sargasso Sea, 1966), è un romanzo post-moderno che per molti versi si inserisce nella tradizione gotica. È anche, e a ciò è dovuta parte della sua fama presso il grande pubblico, un prequel polemico di Jane Eyre.
La storia,
che contiene una forte componente autobiografica, racconta la vita a partire
dall’infanzia, di Antoinette Cosway. Figlia di un importante tenutario giamaicano.
la donna vive sulla sua pelle la decadenza della classe dominante di origine
europea, iniziata bruscamente con l’abbandono delle colonie e l’abolizione
della schiavitù. La vita travagliata della ragazza subisce il colpo di grazia
quando essa finisce per sposare, in un matrimonio d’interesse (qui semplifico;
in realtà la questione è più complessa) uno squattrinato Lord inglese che
durante tutto il corso del romanzo viene lasciato, ironicamente, innominato.
Solo alla fine, quando la coppia si trasferisce in Inghilterra, diverrà chiaro
che il marito della donna è il Rochester di Jane Eyre e lei, la protagonista,
la di lui moglie pazza.
La storia si può dividere chiaramente in tre parti, la
prima narrata dalla voce di Antoinette, la seconda da quella del marito
innominato, la terza, molto più breve, torna al punto di vista della
protagonista.
Si tratta di
un romanzo con molti spunti di riflessione importanti, tra i quali segnalo la descrizione
del Caribe post-coloniale e post-schiavista (situazione di cui l’autrice, pur
essendo nata ben dopo il periodo narrato, conosce le conseguenze per esperienza
diretta) che spiega molto bene una situazione storica non molto nota.
Importantissimi i temi della dipendenza affettiva nel matrimonio, influenzata
dalla debolezza dei diretti interessati, della condizione della donna in una
società prevalentemente maschile, della pazzia che viene portata a galla dalle
circostanze psico-sociali. Questi argomenti, tra l’altro portanti in tutta la
letteratura della Rhys, sono qui trattati con una sottigliezza, un intelligenza
e una tale varietà di sfumature, che solo questo basterebbe a caricare il “Il
grande mare dei Sargassi” di un importanza notevole per la letteratura del
novecento.
Altro elemento importante nel racconto, che aleggia sulla narrazione
senza però mai diventare preponderante, è la presenza dell’obeah, una religione
di origine africana imparentata al vudù. Riguardo a questa, però, Jean Rhys non
si concentra sulla parte magica, bensì ne esalta in modo piuttosto razionale,
nella figura di Christophine, l’anziana balia e governante nera di Antoinette,
i risvolti culturali e filosofici.
Personalmente
ci sono altre due peculiarità di questo romanzo che mi hanno colpito e che mi
inducono a consigliarne la lettura:
L’insieme
scrittura-struttura, è un meccanismo perfetto in cui nulla sembra fuori posto e
in cui ogni singola scena, ogni descrizione, sembra alludere a qualcosa di più
profondo e inafferrabile. Allo stesso tempo però, il romanzo si lascia leggere
con estrema facilità, e cattura il lettore portandolo alla fine della vicenda
senza che senta il bisogno di fermarsi a rifiatare.
Altra cosa
che mi ha impressionato è che, nonostante si svolga sotto il sole luminoso dei
Caraibi e sia pervaso da una sottile ironia, il romanzo riesca a essere
comunque cupamente gotico, e alla fine della lettura, ciò che mi è restato in
mente a livello visivo, è una serie di immagini scure e nebbiose. Effetto non
facile da ottenere, che dimostra una volta di più la maestria della scrittrice.
Leggetelo
quindi, non vi lascerà delusi. E nel caso vogliate regalare un libro, potrete
fare felice qualche amico lettore che non abbia mai sentito parlare di questa
splendida autrice, con una scelta tutt’altro che banale.
PS … e un
"grazie" ad Alice per averlo fatto conoscere a me.
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